Il 16 luglio 2009, dopo un lungo dibattito, il Parlamento islandese con 33 voti a favore e 28 contro ha stabilito di avviare i negoziati per l’adesione all’Unione Europea.
Tra i contrari c’era il ministro dell’Agricoltura e della Pesca, Jon Bjarnason, che teme che l’applicazione delle quote europee sulla pesca danneggi il settore ittico nazionale.
Due sono state le astensioni. L’adesione all’U.E. è voluta in primis dal premier Sigurdottir che sostiene col suo partito anche il futuro ingresso nell’eurozona per far fronte alla grave crisi economica che ha messo in ginocchio il paese.
Al termine dei negoziati che seguiranno, un referendum popolare sancirà l’eventuale effettiva adesione all’U.E. auspicata dal governo per il 2012.
Dopo la sostanziale tenuta dell’euro di fronte alla crisi finanziaria, da Gran Bretagna, Svezia, Norvegia e Islanda, paesi da sempre scettici in merito alla validità del sistema europeo, si rafforzano le voci che spingono per entrare nell’eurozona. In Islanda molti parlano ormai di ingresso nell’Unione e la richiesta potrebbe arrivare proprio in questi giorni.
L’11 dicembre scorso Olli Rehn, commissario per l’Allargamento dell’U.E., ha dato il via libera per la candidatura dell’Islanda nel 2009 e il processo di adesione del Paese nordico potrebbe iniziare già in questi primi mesi.
Sempre il mese scorso Thorgerdur Katrin Gunnarsdottir, ministro dell’educazione e della cultura islandese, in un’intervista ha affermato che l’ingresso nell’U.E. rimane l’unica via percorribile dall’Islanda per salvarsi dalla crisi economica.
Pertanto il suo partito, l’Sj (Sjálfstæðisflokkurinn – Partito dell’indipendenza), da sempre contrario a questa prospettiva, approverà la richiesta anche se ciò significherà accettare le norme europee sulla pesca, contrarie agli interessi del Paese.
Secondo i sondaggi, il 60 per cento degli islandesi sarebbe favorevole a far parte dell’Unione Europea. Del 40 contrario fanno parte però i pescatori e gli imprenditori dell’industria conserviera dell’isola, spaventati all’idea di dover condividere col resto dell’Europa il mare pescoso e memori della libertà conquistata a caro prezzo con le «battaglie» del merluzzo.
La paura di perdere l’autonomia nell’ambito della pesca è sempre stata il grande ostacolo all’adesione dell’isola all’Europa. Certo, il governo islandese tenterà di ottenere alcune deroghe, ma sembra che difficilmente otterrà più di un accordo per un periodo di transizione.
Ovviamente la caccia alla balene sarà interdetta, anche se I profitti derivanti da questa attività non sono così rilevanti da preoccupare gli isolani. L’altro gruppo di oppositori è formato dagli allevatori che producono principalmente carne e latte e temono di essere rovinati a causa dell’importazione massiccia di prodotti a basso costo.
Dopo la richiesta di candidatura dell’Islanda all’Unione Europea si sono avute reazioni contrastanti. Il commissario per l’allargamento europeo Olli Rehn si ritiene soddisfatto, così come il presidente della Commissione U.E.
Jose’ Manuel Durao Barroso, che vede nella decisione un segno della vitalità e dell’affidabilità dell’Unione.
Soddisfazione per la candidatura è stata espressa anche dal ministro svedese Bildt, attualmente di turno alla presidenza dell’Unione.
Di diverso parere invece il ministro degli esteri olandese Maxime Verhagen, che in un colloquio telefonico con Skarphédisson avrebbe imposto alcune condizioni per il nulla osta dell’Aja: l’assenso dipenderà dalla risoluzione delle pendenze con i correntisti olandesi che hanno perso cifre astronomiche negli investimenti in Islanda. Sulla stessa linea olandese si pone il Regno Unito.
La richiesta dell’Islanda di adesione all’U.E. ha suscitato approvazioni ma anche critiche. In effetti la spaccatura nel paese e all’interno del parlamento stesso sulla questione potrebbero far pensare che più che animati da spirito europeo gli islandesi vogliano semplicemente trovare una via di fuga alla crisi economica.
Qualcuno allora inizia a chiedersi quanto convenga all’Europa accogliere l’Islanda, viste già le difficoltà avute con alcuni paesi dell’Est, e ricorda che l’UE, prima ancora che comunità economica vuole essere un’unione politica e giudiziaria.
Da ricordare è invece che l’Islanda è un paese altamente democratico, che già in buona parte è in linea con le politiche europee e che la sua situazione storica, politica e sociale è ben diversa rispetto a quella dell’Europa orientale.
Non solo l’Islanda avrebbe vantaggi ad entrare nell’U.E. Anche l’Unione dal canto suo avrebbe il suo tornaconto.
Come esposto dal presidente di turno Bildt,« l’adesione di questo paese permetterebbe all’Ue di essere in contatto diretto con la regione artica, fondamentale in materia ambientale come in termini di nuove vie di trasporto marittimo».
In effetti, a causa dello scioglimento dei ghiacci molte sono le rotte commerciali che potrebbero aprirsi attraverso l’Artico, con conseguente vantaggio dell’economia europea.
Dopo la formale richiesta dell’Islanda di entrare nell’Unione Europea, i tempi previsti per i negoziati sono piuttosto brevi, anche se l’Islanda non usufruirà di nessuna corsia preferenziale. Il fatto è che l’Islanda condivide da anni l’insieme dei valori e delle regole comuni a tutti gli Stati U.E.
Il Paese, infatti, ha iniziato l’avvicinamento all’Europa quarant’anni fa con l’adesione all’Efta (European Free Trade Association) e fa già parte dello Spazio economico europeo (Sse), dal 1994 è inclusa all’Area economica europea (Eea).
Partecipa inoltre agli accordi di Schengen dal 1996, in quanto membro dell’Unione nordica e applica già quasi tre quarti delle direttive europee, condividendo i principi base su cui è fondata l’Unione.
Ha infine un sistema di governo e una società democratica e a Bruxelles da tempo si sostiene che la procedura non dovrebbe essere particolarmente laboriosa. Il Ministro degli affari esteri Skarphedinsson ha ben chiari gli ostacoli relativi alla pesca e all’agricoltura, ma spera nell’ingresso nell’Unione entro tre anni.